Contraddizioni. Da un calcio italiano che genera ricavi per circa 3,6 miliardi di euro all’anno ci aspetteremmo il massimo del professionismo sotto ogni punto di vista. Invece le cronache sono spesso attraversate da esempi di comunicazione sconcertante.
Solo l’ultima settimana ha messo in vetrina diverse criticità a diverse latitudini, ma in tanti sono rimasti colpiti dai sorprendenti silenzi della dirigenza della Roma, alle prese con un periodo estremamente delicato.
Come si può immaginare, i comunicati “plastificati”, cioè senza contraddittorio, per il pubblico assumono un valore assai modesto. Perciò consideriamo adesso il solo vero dirigente sopravvissuto all’ennesimo tsunami al vertice provocato dalla famiglia Friedkin. Florent Ghisolfi, nuovo direttore sportivo giallorosso, si è insediato alla fine del maggio scorso, ma in quattro mesi – al netto di un incontro privato con i media giudicato non memorabile – non ha trovato il tempo di fare neppure la classica conferenza di presentazione che alle latitudini di Trigoria si è sempre tenuta. Si pensava che magari alla fine del mercato, secondo un’altra antica consuetudine, ci fosse il consueto punto sul lavoro svolto, ma invece anche questo appuntamento è divenuto archeologia sentimentale.
Viene da chiedersi: i nuovi dirigenti del calcio del Terzo Millennio hanno presente chi sono i loro veri interlocutori? Non certo i giornalisti, spesso costretti ad ascoltare dichiarazioni di una reticenza o di una banalità sconcertanti. La platea, in realtà, è rappresentata dai tifosi, coloro che soffrono, pagano e agognano avere notizie. Grazie alle domande dei media, diventano loro i veri destinatari di quelle informazioni che altrimenti verranno cercate e ottenute attraverso altri canali, magari assai meno affidabili. Così, parlando della Roma – mettendo persino da parte lo strategico acquisto dell’Everton da parte dei Friedkin – si arriva a una stretta attualità in cui l’esonero dell’allenatore (De Rossi) e le dimissioni del ceo (Souloukou) vengono “spiegate” solo attraverso malinconiche paginette preconfezionate, destinate a innescare un ventaglio di ipotesi che vanno dal ”gentlemen agreement” alle liti furibonde.
Tutto questo, senza neppure una inequivocabile presa di posizione della stessa società contro le inaccettabili minacce rivolte alla stessa Souloukou e alla sua famiglia, costretta ad accettare la sorveglianza delle forze dell’ordine prima dell’addio.
Eppure non dovrebbe essere necessario scoprirsi grandi esperti per capire che, in tempi di interconnessione permanente, se la comunicazione non la produci, la subisci, cioè la faranno altri al tuo posto. Con tutti i rischi del caso.
Per questo occorrerebbe trovare un punto di equilibrio fra esternazioni in stile social – da tifoso di cattivo umore o da ex calciatore che prova a riciclarsi – e una afasia che trasmette terrore o (peggio ancora) disinteresse. Invece, nel ventaglio di scelte che esistono tra le smargiassate e il silenzio impaurito, in Italia persino il calcio di vertice sembra perdersi senza neppure provare imbarazzo.
Domanda: e se questa generazione di manager rampanti utilizzasse una frazione infinitesimale di quei 3,6 miliardi di euro per prepararsi meglio? Forse anche i tifosi apprezzerebbero.