Non usate la parola amore. Quella lasciatela per descrivere ciò che vi lega a un altro essere vivente che si accorga della vostra esistenza, che sia una madre, un padre, un cane, un gatto, un uomo, una donna e via declinando. Non è necessario che ricambi il sentimento che provate, l’importante è che almeno sappia che siete al mondo.
Invece il calcio del Terzo Millennio confonde l’attaccamento – a senso unico – con l’amore. Amore per una squadra o per dei singoli interpreti che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono totalmente disinteressati al fatto che siamo tutti abitanti della stessa terra. Certo, si può amare il cibo, la musica, il cinema, l’arte, la letteratura, ma non pretenderemmo che questi (favolosi) aspetti della vita “giochino” per noi, per farci sentire vincenti, altrimenti finirebbero per diventare bersaglio della nostra ira. E quella per il mercato e i primi risultati sta esplodendo.
Il “grande equivoco”: De Rossi, l’amore e i subumani
Commentando gli insulti social ricevuti per l’avallo (vero o presunto) alla cessione di Paulo Dybala, con grande proprietà Daniele De Rossi, allenatore della Roma, ha sdoganato la parola “subumani”, di cui a volte ha scrutato i profili, insieme a quelli di 14-15enni che evidentemente sono sulla buona strada per diventarlo. Ebbene, sono proprio tutti costoro i protagonisti del Grande Equivoco. Credono di amare (qualcosa o qualcuno), scambiando un sentimento che rappresenta un mutuo scambio – anche in caso di rifiuto – con un bisogno strettamente personale.
Credete che Lautaro, Pellegrini, Vlahovic o Leao sentirebbero la mancanza del supporto di “SoTuttoIo1999” o “Vivosoloperte2005”? Pensate che Inter, Roma, Juventus o Milan vestirebbero a lutto se le contumelie di costoro sparissero dal calcio?
I tifosi estremi – quelli che diventano subumani – non amano la propria squadra del cuore: ne hanno necessità. Ne hanno necessità per i più svariati motivi. Per interesse economico (chi frequenta alcune curve lo sa), per dare un senso alle proprie giornate, perché affidano al calcio la rivalsa di una vita non all’altezza delle loro speranze, perché non scoprono vera bellezza in niente se non un rito condiviso (e perciò rassicurante) o semplicemente perché non conoscono il vero significato della parola amore.
L’amore vero può arrivare a mostrare sfumature di amarezza, rabbia, risentimento, ma alla fine della strada ci trasforma in persone migliori, pronte ad amare ancora, magari in modo diverso. L’amore vero non augura morte o malattie, non minaccia vendette. L’amore vero, semplicemente, conosce l’oggetto della propria passione e ne è riconosciuto. Invece i subumani urlano proprio perché sono invisibili. E se smettessero di esistere, coloro che dicono di amare neppure se ne accorgerebbero. Sapete immaginare niente di più triste?