Altro

    Media, liti e sanzioni: l’abisso che divide NBA e Serie A

    Informazione, sanzioni e lezioni. Una notizia che è giunta dagli Stati Uniti in questi giorni può essere l’occasione per confrontarci con ciò che chiediamo al giornalismo e con quello che si ritiene debba essere il confine insuperabile da parte di un atleta.
    Joel Embiid, stella dei Philadelphia 76ers, è uno dei giocatori più importanti della NBA. Di origine camerunense, l’estate scorsa è stato cooptato nella nazionale Usa che ha vinto l’oro olimpico nel basket. Il trentenne centro dei Sixers – alto 213 centimentri e pesante 120 chilogrammi – che in carriera è stato sette volte “all star” e nel 2023 ha vinto il premio come miglior giocatore della Lega, a settembre ha rinnovato il proprio contratto sino al 2029, arrivando a percepire un totale di 300 milioni di dollari di stipendio per tutto il periodo, di cui 69 milioni solo nell’ultima stagione della durata del rapporto. Cifre che farebbero impallidire tutti i calciatori del Vecchio Continente. Per intenderci, in tutta la storia della NBA finora in carriera hanno guadagnato più di lui solo quattro giocatori: LeBron James, Steph Curry e Paul George.
    Ebbene, nel meraviglioso mondo della informazione totale com’è quello del basket statunitense, in cui è possibile entrare negli spogliatoi e parlare con i giocatori sia prima che dopo ogni partita, nella scorsa settimana è successo un episodio che fa capire il differente approccio che c’è negli Usa con i media.
    Al netto dei guadagni, il talento di Embiid è indiscutibile, così come lo è la sua fragilità (lo scorso torneo ha giocato solo 39 partite sulle 82 della stagione regolare) e a volte la sua professionalità, visto che anche quest’anno – è stato scritto – si è presentato in ritiro dodici chili sovrappeso e ovviamente acciaccato. Non è una sorpresa, perciò, che nella nuova stagione finora non sia ancora sceso in campo. E senza di lui la squadra perde tantissimo.
    Per questo Marcus Hayes, giornalista del ”Philadelphia Inquirer”, in un articolo ironico ha proposto che i Sixers dovrebbero rimborsare gli spettatori per ogni partita non giocata dal centro. L’attacco del pezzo era così formulato: “Joel Embiid continuamente fa riferimento alla nascita di suo figlio Arthur come il momento di svolta della sua carriera cestistica. Dice spesso di voler essere grande per lasciare un’eredità per il bambino chiamato come il suo fratello minore, morto tragicamente in un incidente automobilistico quando Embiid era al suo primo anno con i Sixers”. Il senso del seguito, poi, spiegava, però come il giocatore dovesse mostrare più professionalità se davvero ha l’obiettivo di vincere qualcosa in carriera con il club, cosa che finora non gli è mai riuscita.
    Quanto basta perché nel dopo partita del match perso dai Sixers contro Memphis il camerunense si approcciasse minaccioso al giornalista. “La prossima volta che parli di mio fratello morto o di mio figlio, vedrai cosa ti faccio e sarò io a pagarne le conseguenze”, ha detto Embiid, secondo quanto scritto da ESPN. Dopo diverse altre parolacce da parte della superstar di Philadelphia, Hayes ha offerto le sue scuse al giocatore (fatte pubblicamente anche su X) che però non sono state accettate. Successivamente i toni di Embiid si sono scaldati ulteriormente tanto da spintonare Hayes sulla spalla, mentre i membri della comunicazione del club si sono messi in mezzo per separarli, con uno di loro che ha chiesto ai giornalisti di non riportare quanto accaduto. Il giocatore, allora, ha alzato ulteriormente la voce per farsi sentire da tutti: “Possono fare quello che vogliono, non me ne frega un c…”.
    Risultato: il giorno stesso è partita un’inchiesta sia da parte del club che della NBA, che hanno portato alla squalifica di Embiid per tre turni con relativa sospensione dello stipendio. Una perdita secca di circa un milione di dollari. “Comprendiamo che Joel si sia sentito offeso dal carattere personale dell’articolo – ha detto il vicepresidente del Basketball Operations della Lega – ma è fondamentale che gli scambi restino sempre professionali e non degenerino mai in violenza”.
    Stop. Prendiamo un bel respiro e riflettiamo.
    Immaginate che cosa sarebbe successo alle nostre latitudini se il Giudice Sportivo avesse squalificato Lautaro, Lukaku, Vlahovic, Dybala o chi per loro a causa di un litigio di quel genere con un giornalista. Pensate che i media o i tifosi avrebbero accettato con fair play una decisione simile? Pensate che non si sarebbe gridato al complotto o al giornalista “provocatore”? Pensate che non si sarebbe invocato la chiusura di tutti i rapporti fra media e squadra? Visti i precedenti, non escluderemmo neppure interrogazioni parlamentari sul caso.
    Lo confessiamo: nella nostra carriera abbiamo assistito a tanti litigi fra calciatori (ma anche allenatori) famosi con giornalisti colpevoli di scrivere cose poco gradite. Facciamo fatica a ricordare il supporto non dell’opinione pubblica (impossibile), non della società a cui apparteneva il giocatore, ma anche degli stessi colleghi, magari anche all’interno dello stesso giornale. Qualunque professionista dei media che si occupi di calcio si trovasse alle prese con un caso simile a quello Embiid-Hayes, riteniamo che ne uscirebbe devastato, o quanto meno travolto da un’ondata di fango sui social da rendergli la vita difficile e il lavoro impossibile.
    Come si spiega tanta differenza fra due sistemi sportivi che, in fondo, perseguono lo stesso obiettivo, cioè il divertimento e il guadagno?
    È possibile che tutto dipenda dal sistema sociologico-culturale di riferimento. Le stelle della nostra squadra del cuore sono parte di noi, ci rappresentano. Chi tocca loro, tocca noi. Solo noi siamo autorizzati a vilipenderli e a volte persino minacciarli, se ci sembra che non facciano bene il loro dovere. Siamo divisi fra la voglia di sapere tutto ciò che accade alla nostra squadra (e i giornalisti servirebbero a quello) e il desiderio che niente possa turbare le nostre stelle, facendo correre il rischio di inficiare le loro prestazioni.
    La libertà di cronaca, di opinione o di critica non deve esistere se entra in conflitto con le nostre esigenze di tifosi. Pazienza se la Serie A è lontana dal livello di ricchezza, professionalità e mediaticità che la NBA è in grado di generare. Vogliamo campioni e giornalisti brutti, sporchi e cattivi, che assomiglino al nostro modo di tifare e a volte di essere. A patto ovviamente che la squadra vinca, altrimenti spetterà a noi fare giustizia o quella che crediamo lo sia.
    Tutto chiaro, tutto consequenziale. Eppure una domanda è lecita: pensate che uno come Embiid – pubblicamente punito nelle tasche come nell’immagine – preferisca appartenere a un sistema come il suo o come il nostro?

    Ultimi contenuti

    Ti potrebbero interessare...