Bentornati. Non ne sentivamo affatto la mancanza, ma il loro riaffiorare ci ha ricordato che il volto nero del calcio italiano non cambia e che sarebbe il caso di correre ai ripari. Parliamo degli incidenti accaduti fra i tifosi di Cagliari e Napoli, che hanno pensato di santificare la loro domenica usando una violenza che alle nostre latitudini non passa mai di moda.
Il copione è stato sempre lo stesso. Insulti, scontri, steward feriti, partita sospesa per qualche minuto; poi il pallone torna a rotolare e i riflettori si riaccendono su Lukaku & Co. magnificando nuove rinascite sportive e dimenticando antichi problemi ormai endemici. Non è questione di squadre e neppure di serie, perché anche a i livelli inferiori il problema è grande.
Le curve ultrà – pronte a trasferirsi anche in trasferta – si dimostrano spesso fuori controllo. Territori franchi in cui si può flirtare con fascismo e razzismo senza che nessuno se ne occupi davvero. Un giorno di scandalo per gli adesivi di Anna Frank con la maglia della Roma o della Lazio, ammiccando così all’antisemitismo, e la partita successiva tutti insieme a magnificare “i nostri meravigliosi tifosi”, con applausi e omaggio da parte di calciatori e allenatori, a volte troppo vicini a personaggi non proprio oxfordiani.
Eppure adesso certe dinamiche sono sempre più chiare. Se il calcio è un business, da tempo molti dei capi ultrà lo hanno capito e si comportano di conseguenza. Nel 2009 erano venute allo scoperto le infiltrazioni della criminalità organizzata nella curva del Milan, nel 2019 in quella della Juventus, nei giorni scorsi è stata la volta dell’Inter, senza contare i problemi che storicamente hanno coinvolto esponenti del tifo di Roma, Lazio e Napoli. Ogni anno, d’altronde, le cronache sono punteggiate di indagini in questo mondo, che esondano non infrequentemente anche nella pura cronaca nera.
Il calcio e il tifo organizzato
Insomma, quando il calcio – o lo sport in genere – diventa una vera ragione di vita, alle spalle ci può essere o un problema di tipo sociologico-esistenziale oppure la materializzazione di una sola parola: affari. Le coreografie, i cori e tutto il folklore che noi associamo fin troppo all’evento calcistico, diventano in fondo una maniera per “lavorare”, giustificando un guadagno che non ha alcun impulso sentimentale. Non è affatto vero che un ultrà sia più tifoso di un bambino in tribuna col padre, di un universitario che sceglie di studiare la notte per non perdersi la partita, di un qualsiasi lavoratore che, quando può, fa dei sacrifici per permettersi lo stadio.
Basta leggere le intercettazioni pubblicate in questi giorni sulle indagini relative alle connivenze tra ultrà e malavita. “Non ci frega nulla di cori e striscioni. Possono cantare anche ‘Bella ciao’ (nelle curve di destra, ndr). Ci interessa solo il guadagno. Questo è lavoro, è marketing”. Ben retribuito, visto che si parla di introiti che possono arrivare fino a ventimila euro al mese, soprattutto se è legato anche allo spaccio di droga.
È ovvio che la stragrande maggioranza del tifo organizzato non prende certo parte a questa imbarazzante mangiatoia a spese della passione calcistica, ma si adegua senza problemi alle direttive, anche perché spesso della legge – nel senso più tradizionale del termine – non vogliono sentire parlare. Sorprendente? Non proprio, visto che già nel maggio 2017 l’allora capo della Polizia, Franco Gabrielli, spiegava come “il 27 per cento degli abbonati della curva Sud romanista fossero pregiudicati”.
E non crediamo che sia un’eccezione, visto il mantra della violenza che fa parte delle regole del branco. Ma fin qui resteremmo ancora nel campo della pura e semplice questione di ordine pubblico. Ciò che immalinconisce è che ancora adesso i club conservino dei rapporti privilegiati anche con gente poco commendevole. L’ultimo a finire sotto i riflettori in questi giorni è stato Javier Zanetti, ma in passato era successo ai dirigenti di Juventus, Milan e di tante altre società.
Capiamo bene come a volte i vertici siano sotto ricatto – la minaccia di fare cori razzisti è sempre viva – eppure recidere ogni tipo di rapporto con chi sceglie deliberatamente di creare una zona grigia in cui prosperare sarebbe doveroso. Pensate, ad esempio, che tanti ultrà abbiano le stesse difficoltà dei semplici tifosi quando devono acquistare biglietti per le partite in trasferta nelle coppe europee? Ovviamente no. E ovviamente perché sono agevolati dai club per cui vige la regola: meglio averli amici che nemici.
D’altronde il grande circo deve andare avanti, per questo sceglie di mettere in vetrina solo la favola delle curve più belle del mondo. Il modo migliore per annegare tutto – con la nostra complicità – in una retorica che spesso serve solo a coprire gli affari.